La presenza di vulnerabilità è inevitabile all’interno di sistemi e infrastrutture IT sempre più complesse.
Non si chiede alle aziende di eliminarle completamente, ma di avere la situazione sotto controllo, ovvero di rilevare tempestivamente quelle più critiche e di gestirle in modo efficace. La disciplina del vulnerability management nasce per questo scopo.
Vulnerability management: cos’è e le 5 fasi del processo
Il vulnerability management è un insieme di processi e tecnologie che le aziende usano per identificare, valutare, classificare, mitigare e monitorare le vulnerabilità all'interno di sistemi IT, applicazioni e reti aziendali.
L'obiettivo è duplice: tutelare l’uptime dei sistemi e l’integrità dei dati attraverso un ciclo continuo di analisi e miglioramento, in modo da prevenire possibili exploit prima che causino danni. In quanto disciplina essenziale della sicurezza informatica, il vulnerability management si articola tipicamente in diverse fasi, ognuna fondamentale nel quadro complessivo.
Discovery
Il primo passo è sapere esattamente cosa proteggere. Le aziende devono mappare in modo accurato tutti i propri asset IT, compresi server, endpoint, dispositivi di rete, database e applicazioni per avere un inventario sempre aggiornato delle risorse esposte.
Vulnerability scan
Si procede quindi con una scansione automatizzata per rilevare le vulnerabilità conosciute. I tool analizzano le configurazioni, le versioni del software e le falle di sicurezza note, fornendo un quadro dettagliato delle minacce.
Risk assessment
Non tutte le vulnerabilità rappresentano una minaccia immediata. Per questo motivo, dopo la scansione, è fondamentale effettuare un'analisi del rischio finalizzata alla definizione delle priorità d’intervento.
Remediation e mitigation
Definite le priorità, si passa all’azione con due strategie principali: la remediation, ovvero la correzione definitiva della vulnerabilità (modifica delle configurazioni e/o sviluppo e l’applicazione di patch correttive); la mitigation, che si sostanzia in misure temporanee di contenimento, come ad esempio la microsegmentazione della rete.
Monitoraggio continuo
Nella migliore delle ipotesi, il vulnerability management non è considerato un’attività una tantum ma un processo continuo, in cui le scansioni e le fasi successive del processo vengono eseguite in cicli rapidi a causa dell’evoluzione (anch’essa, continua) delle minacce sottostanti.
Vulnerability management: i principali trend del 2025
La gestione delle vulnerabilità è un’area della cyber security che evolve continuamente, sia in termini di metodologie che di strumenti tecnologici a supporto. Di seguito, i trend che nel 2025 promettono di rivoluzionare questa pratica.
Automazione sempre più diffusa
L’automazione è un trend in forte crescita perché permette alle aziende di gestire le vulnerabilità in modo più rapido ed efficace, riducendo i tempi (solitamente molto lunghi) tra la scoperta e la correzione.
L’automazione non si limita alle scansioni, che sono già automatizzate per natura, ma si estende a tutto il processo: dalla valutazione del rischio alla definizione delle priorità di intervento, fino allo sviluppo e al rilascio delle patch, ottimizzato grazie a procedure di testing automatiche. Questo processo riduce i rischi legati a un patching non accurato, che potrebbe introdurre a sua volta nuove vulnerabilità.
Continuous monitoring
Si è già accennato al fatto che il vulnerability management dovrebbe essere un’attività continuativa. Uno dei trend più interessanti è proprio il passaggio dai tradizionali scan periodici (tipicamente trimestrali) a un modello di continuous monitoring che prevede la sorveglianza costante delle risorse IT e la conseguente possibilità di rilevare tempestivamente nuove vulnerabilità e attività sospette.
L’utilizzo di sistemi di Managed Detection and Response (MDR) e di servizi SOC complementano questo monitoraggio continuo, consentendo l’attivazione di misure difensive e di contenimento degli attacchi.
DevSecOps e lo shift-left
Con DevSecOps entriamo nel campo dei nuovi modelli di sviluppo software. Nel metodo tradizionale, la sicurezza veniva considerata solo nelle fasi finali, poco prima del rilascio in produzione. DevSecOps, invece, sposta questa attività a monte (shift left), integrando la sicurezza fin dalle prime fasi di progettazione e scrittura del codice. Questo approccio introduce una maggiore complessità procedurale, ma offre vantaggi significativi in termini di resilienza e protezione. Adottare DevSecOps significa ridurre il numero di vulnerabilità fin dall'origine, rendendo il vulnerability management più efficiente e proattivo.
AI e Machine Learning
Gli algoritmi di machine learning stanno rivoluzionando il modo in cui le aziende individuano e gestiscono le minacce alla sicurezza. Grazie alla capacità di riconoscere pattern complessi e anomalie, gli algoritmi di ML migliorano il rilevamento delle vulnerabilità, comprese quelle zero-day, e aiutano a distinguere tra falsi positivi e minacce reali. Inoltre, permettono di assegnare uno scoring alle vulnerabilità, facilitando la prioritizzazione degli interventi e ottimizzando la gestione del rischio in base all'impatto effettivo sulle infrastrutture IT aziendali.
Approccio olistico nella gestione delle vulnerabilità
Storicamente, le organizzazioni hanno sempre adottato un approccio incentrato sull'analisi e la mitigazione di singole vulnerabilità; le strategie di difesa e le priorità di intervento erano definite in funzione della pericolosità della singola falla. Nel contesto IT attuale, caratterizzato da ambienti eterogenei e interconnessi, questa metodologia si rivela però inadeguata. L'esposizione al rischio dipende dalla possibilità che un attaccante orchestri lo sfruttamento di più vulnerabilità in sequenza o in parallelo, realizzando attacchi complessi e di maggiore impatto.
Per una gestione efficace del rischio, è imperativo adottare un approccio olistico che integri l'analisi delle singole vulnerabilità con la valutazione del contesto e delle dipendenze tra i sistemi. Questo approccio si basa sull'assegnazione di uno score di rischio contestuale, che tiene conto della sua posizione all'interno di potenziali catene di attacco e dell'impatto combinato con altre vulnerabilità.
In questo senso un approccio ad alto potenziale è rappresentato dal Continuous Threat Exposure Management, un framework che consente alle aziende di valutare in modo continuo e coerente la vulnerabilità dei propri asset fisici e digitali, e che è stato introdotto da Gartner nel 2022.
Tra i numerosi vantaggi che apporta, vi è soprattutto quello di analizzare tutti i percorsi d’attacco per concentrare l’attività in modo prioritario sulle esposizioni ad alto impatto. Questo indirizza in modo ottimizzato le fasi di correzione e remediation, la cui tradizionale elevata complessità è un freno e può portare, in approcci poco virtuosi, ad evitare aggiustamenti alla postura cyber.